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Io sono fatto così, non posso cambiare/le persone non possono cambiare/nessuno può cambiare un’altra persona!
- Io non posso cambiare, tu non puoi cambiarmi!
Una delle obiezioni che più di frequente vengono mosse ai terapeuti deriva da un certo scetticismo nei confronti della possibilità che le persone possano davvero cambiare: “Io sono fatto così e non posso cambiare, nessuno può cambiarmi, nessuno può cambiare”.
In effetti siamo abituati a pensare a noi stessi e agli altri come a individui dotati di tratti caratteriali specifici e stabili nel tempo. Conosciamo tutti proverbi del tipo “il lupo perde il pelo ma non il vizio” oppure “chi nasce tondo non muore quadrato”, che sottolineano quanto sia credenza comune che le persone in fondo siano destinate a vivere come ostaggi di loro stesse. Ma se quello che siamo non può essere modificato allora non ci aspetta altro che una vita di rassegnazione al nostro dolore…
In realtà basterebbe pensare a un semplice ma innegabile dato di fatto per confutare questo luogo comune e cioè…che siamo esseri VIVENTI. E vivere significa mutare, trasformarsi di giorno in giorno in altro di diverso. Tagliamo o ci facciamo crescere i capelli, invecchiamo, impariamo una nuova lingua o la tabellina del 9, diventiamo genitori, cambiamo lavoro, casa e amici, ci laureiamo, parliamo con la gente, viaggiamo, sogniamo, ci innamoriamo, ingrassiamo, facciamo sesso, ci poniamo delle domande su noi stessi e sul mondo. Non ci si può sottrarre alla vita. Ogni cosa, anche la più infinitesimamente piccola o apparentemente irrilevante esperienza incide su ciò che siamo e sul nostro modo di intendere noi stessi e il mondo.
Ma se tutto questo è vero, se come esseri viventi siamo concepiti come intrinsecamente mutanti, allora perchè a volte abbiamo la sensazione che nulla cambi mai nè in noi stessi nè negli altri? Perchè ci capita di sentirci intrappolati in una vita sempre uguale che non ci soddisfa, in relazioni sempre uguali che ci fanno soffrire, in un dolore antico e mono-tono?
Per provare a sbrogliare la questione è necessario partire da un assunto di base: se da una parte è vero che come esseri viventi siamo in continua e costante trasformazione, dall’altra è altrettanto vero che restiamo sempre noi stessi durante tutto l’arco della nostra vita. Ciò che è inscritto nel dna non è modificabile, non possiamo scegliere i nostri genitori o il nostro sesso, così come non possiamo scegliere tutto ciò che ci verrà consegnato come bagaglio di tradizione al momento della nascita (paese di origine, lingua, estrazione socio culturale, disponibilità economica ecc ecc). Tutto questo ci è stato dato ed è così che siamo venuti al mondo, non l’abbiamo deciso ed è quello che siamo e che saremo finchè saremo in vita. Tutto ciò però non ci rende in qualche modo “predestinati” a una vita scelta per noi da altri (o dal caso) perchè ciò che è in nostro potere sta nelle particolari modalità secondo le quali decideremo come spendere il nostro unico e irripetibile potenziale umano nel mondo.
Potremmo riassumere quanto appena detto con una domanda: “cosa ne stiamo facendo di quello che siamo?”. Se non rispondiamo prima a questo quesito sarà difficile, forse impossibile, comprendere ciò che vogliamo davvero ed innescare un processo trasformativo di noi stessi che sia davvero edificante.
Qui sta il punto: ciò che possiamo cambiare non è tanto “come siamo” ma l’esperienza che facciamo di noi stessi. Se i lunghi capelli si trasformano in dread lock poco importa dal punto di vista meramente estetico, ciò che importa e sarebbe interessante indagare è perchè la ragazza carina e timida del liceo classico tutta spille e cerchietti ora è una giovane donna che frequenta assiduamente i centri sociali in compagnia di un cane. Cos’ha rappresentato questo cambio di look per lei e per chi le sta intorno? Quale messaggio mandano i suoi capelli per il semplice fatto di essere acconciati in un modo invece che in un altro? O l’adolescente mingherlino che d’un tratto dedica ogni sua energia alla palestra e a potenziare il proprio fisico, cosa significa per lui , giovane uomo, quella nuova forza e quel nuovo aspetto?
Tornando a un discorso prettamente psicoterapeutico è esperienza comune (nel paziente quanto nel terapeuta) che in genere il terapeuta venga contattato da qualcuno che soffre tanto per qualche ragione e che più o meno implicitamente si aspetta di scoprire che questa cosa possa essere modificata.
A volte si riferisce il proprio star male a una condizione esterna o a un particolare evento (“sono stato bocciato”, “mio marito mi ha lasciata per un’altra”, “non trovo lavoro” ecc ecc), altre volte lo si riconduce all’interno e quindi a qualche nostra caratteristica (“non riesco mai a interessarmi a niente”, “faccio fatica a stare con gli altri perchè non sono divertente”, “sono sempre triste e demotivato” ecc ecc). Con molta probabilità è un disagio che si avverte su entrambi i livelli.
Comunque sia, quando ci si rivolge a uno psicoterapeuta è perchè si sente che qualcosa non va e si ha la speranza che questo stato possa cambiare in modo per noi vantaggioso.
L’obiezione viene posta a questo punto “ma è davvero possibile che le cose cambino e che questo avvenga -solo parlando- con qualcuno?”. La risposta è SÌ. E questo è possibile proprio per il fatto che la psicoterapia si configura come uno spazio di esperienza di sè. Di esperienza nuova ed estremamente significativa di sè!
La psicoterapia è questo che di fatto si pone come obiettivo, quello di aiutare il paziente ad acquisire una nuova consapevolezza rispetto a ciò che è e a ciò che sta facendo di sè, attraverso l’esperienza che si basa sulla relazione col terapeuta.
Ed è una relazione che ha come fine ultimo una comprensione più piena e libera di sè, dell’altro e del mondo. Perchè è questo ciò che può cambiare e che può fare una significativa differenza cioè il modo in cui si guarda a sè e alle cose del mondo.
E’ un processo talvolta difficile e tortuoso che può condurre però alla consapevolezza di avere potere su ciò che siamo e su quanto accade intorno a noi. Un potere doloroso che forse non ci aspettavamo e che forse nemmeno volevamo ma che in fondo ci può far sentire nuovamente vivi.
Non ho bisogno di andare in terapia, se ho bisogno di parlare mi bastano gli amici/la famiglia/il mio compagno…
- Non ho bisogno di andare in terapia, se ho bisogno di parlare mi bastano gli amici/la famiglia/il mio compagno…
Spesso si sente dire “un chirurgo non può operare i propri famigliari”.
Non so se sia un assunto vero in assoluto, ma al di là veridicità o meno dell’affermazione, la maggioranza di noi la trova assolutamente ragionevole.
Inoltre fornisce una metafora interessante su cui riflettere.
Il motivo per cui un chirurgo non potrebbe operare un suo caro è intuitivo e riguarda aspetti di natura emotiva e quindi strettamente e universalmente umani; riguarda, intesa in termini molto semplici, tutti quei risvolti e implicazioni emotive che lo stare in relazione con l’altro che amiamo producono. E’ un livello profondo dell’animo umano, a tratti irrazionale e contraddittorio ma che ci spinge inevitabilmente verso l’altro.
Immaginiamo che il figlio del chirurgo abbia un incidente e che debba essere operato di urgenza. Il chirurgo si occupa di questo genere di casi tutti i giorni, è un buon dottore, competente, scrupoloso e ha nervi saldi. Ora però si trova davanti a una situazione inaspettata, il proprio figlio è ferito e in pericolo di vita. Presumibilmente il chirurgo potrà sentirsi disperato, terrorizzato dall’idea di perdere il figlio, potrà provare una gamma infinita di sentimenti che vanno dalla speranza all’incredulità, sentimenti talmente intensi e disturbanti da impedirgli di pensare ad altro che non sia il suo essere padre e a ciò che rappresenta per lui quel figlio che è inconcepibile pensare di perdere. Quando si ama qualcuno vogliamo proteggerlo, preservarlo dal dolore, conservare la relazione che abbiamo con lui e dalla quale noi stessi dipendiamo. La posta in gioco è altissima, troppo alta, ed è probabile che sarà qualcun altro a operare il ragazzo. Qualcuno che pur riconoscendo il valore della vita non intrattiene con quello specifico essere umano una relazione di natura diversa da quella medico-paziente.
Gli esseri umani normalmente intrattengono numerose relazioni significative con altri esseri umani, da queste relazioni dipende non solo la sopravvivenza stessa dell’uomo ma anche il modo in cui egli stesso si percepisce. Più queste relazioni sono intense e significative più tendiamo a proteggerle e preservarle perchè costituiscono il nostro mondo.
Quando diciamo che un chirurgo non può operare un proprio caro è perchè tendiamo a immedesimarci con l’uomo-padre e non con l’uomo-medico. Sappiamo e sentiamo nel profondo di noi stessi che un padre sarebbe drammaticamente sconvolto nel vedere il proprio figlio gravemente ferito e che questo aspetto emotivo sarebbe talmente perturbante da rendere di fatto impossibile curarlo, nonostante abbia le competenze per farlo.
La metafora del chirurgo è una metafora potente perchè ci mette faccia a faccia con tutti quegli aspetti emotivi che vengono sollecitati dallo stare in relazione con l’altro che amiamo ma che nonostante ciò soffre.
In ambito psicologico le cose sono però un po’ diverse. Chiunque incontriamo può avere effetti terapeutici per noi e per la nostra sofferenza, chiunque può essere un “buon chirurgo”. Sentire di avere una buona rete sociale intorno a noi rappresenta uno degli indicatori primari per ciò che riguarda la nostra salute psicologica. Le relazioni sociali di buona qualità e “giusta” quantità sono una risorsa importante per il benessere dell’individuo nella sua globalità.
Sappiamo anche però, che per quanto lo stare in relazione con l’altro ci permetta di fatto di sopravvivere, le cose che riguardano gli essere umani non sono mai semplici.
Siccome noi dipendiamo dagli altri proprio come gli altri dipendono da noi e siccome i legami che ci uniscono sono emotivamente carichi, a volte troviamo qualche difficoltà quando ci troviamo ad aiutare o ad essere aiutati.
Ora pensiamo a tutte le volte che abbiamo confidato i nostri problemi a un amico. Forse in primo luogo ci verranno in mente quelle volte in cui non l’abbiamo fatto: non volevamo farlo preoccupare? avevamo timore che potesse cambiare la sua idea su di noi? abbiamo ritenuto che potessimo farcela da soli?
Altre volte invece, l’abbiamo fatto, abbiamo parlato con qualcuno cercando negli altri una risposta che avvertivamo non potesse essere trovata in noi. Forse abbiamo ricevuto validi consigli per tamponare una situazione che sembrava senza via di uscita, visioni diverse con cui confrontarsi, del conforto o semplicemente un abbraccio che per un momento ha spazzato via la solitudine ecc. ecc.
Ci è capitato, però, anche di sentirci confusi rispetto le risposte alle nostre richieste di aiuto. Ci è capitato che un consiglio non fosse sufficiente, che non lo sentissimo nostro pur riconoscendo le buoni intenzioni del nostro interlocutore, che ci sentissimo non totalmente compresi, che con vergogna ci rendessimo conto che il conforto e l’affetto non bastavano a sanare un dolore profondo, perchè ciò di cui avevamo davvero bisogno era di comprenderlo.
Non è raro che la situazione analitica conduca a riflessioni nuove, sorprendenti e di natura qualitativamente diversa a quelle a cui il paziente è abituato a ricevere dal suo contesto di vita. Esclamazioni del tipo “mio marito mi ha sempre detto che gli altri mi trattano così perchè sono invidiosi…ma questa spiegazione non mi ha mai convinta fino infondo, ora so che c’è dell’altro” oppure ” i miei amici mi dicono che non riesco a impormi sulle cose per me importanti perchè sono troppo buono, ma ormai non ne parlo nemmeno più…questa risposta mi fa sentire ancora più frustrato” sono decisamente frequenti.
Non si tratta di risposte che sminuiscono il dolore dell’altro, anche se saremmo tentati di pensarlo, ma di risposte che cercano di salvare l’altro e salvare se stessi allo stesso tempo. La donna “invidiata” è probabilmente una donna che agli occhi del marito appare forte, sicura e di successo ed è probabilmente così che il marito ha bisogno di continuare a vederla (per ragioni complesse che non è possibile esaurire in questa sede). Il ragazzo “troppo buono” potrebbe essere una persona su cui è sempre possibile fare affidamento, una persona sensibile, disponibile e generosa, una vera risorsa per chi gli sta vicino, ma che può continuare ad essere questo per gli altri solo se si lasciano da parte tutti quegli aspetti che non si accordano con questo tipo di immagine “sociale”, perchè “se non sono quello che gli altri vedono di me, io cosa sono?”.
Questo significa che parlare a uno “sconosciuto” dei tuoi problemi permette di arginare tutti quegli aspetti che sono veicolati dal legame emotivo con gli altri. Non che un terapeuta non provi sentimenti nei confronti dei suoi pazienti, questo è inevitabile, ma sa come maneggiarli e renderli validi strumenti per il lavoro psicologico. Il terapeuta è paragonabile al secondo chirurgo di qui sopra, quello che riconosce il valore della vita umana ma non ha col suo paziente un legame che sia diverso da quello professionale.
A volte quando sembra che nessuno ci voglia capire è perchè nessuno del nostro contesto sociale può davvero farlo. O si è troppo o troppo poco coinvolti, e il nostro dolore fa paura in entrambi i casi. Si è troppo vicini o troppo lontani e in entrambi i casi mettere a fuoco certi aspetti di noi stessi e degli altri diventa impresa ardua.
Domande e risposte!
Quali sono le obiezioni che più spesso si sente rivolgere uno psicoterapeuta? Quali sono i dubbi che vorremmo fossero chiariti prima di affidarci a uno specialista?
Benchè sia molto più comune rivolgersi a uno psicoterapeuta ora, di quanto lo fosse solo pochi anni fa, parecchie persone lamentano una scarsa informazione rispetto a questa figura, a tratti ancora avvolta in un fumoso mistero…
In questa sezione proverò a chiarire alcuni aspetti della psicoterapia in termini pratici e comprensibili tentando di rispondere ai dubbi e alle obiezioni più frequenti.
E’ una sezione in continua fase di aggiornamento…se avete qualche domanda da pormi scrivetelo pure nei commenti e sarò felice di rispondervi se potrò!
buona lettura…
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Io non ho bisogno dello psicologo! Faccio da me!
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Non ho bisogno di andare in terapia. Se ho bisogno di parlare mi bastano i miei amici/la mia famiglia/il mio compagno/a
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Io sono fatto così, non posso cambiare/le persone non possono cambiare/nessuno può cambiare un’altra persona!